I satelliti nella Low Earth Orbit condividono i loro percorsi con decine di migliaia di rifiuti spaziali. Secondo l’Agenzia Spaziale Europea (European Space Agency – ESA), dal primo lancio nel 1957 sono stati inviati nell’orbita terrestre più di 15mila satelliti e molti di essi sono stati ridotti in pezzi da oltre 640 collisioni e incidenti. Che, in base alle stime ESA, nel tempo hanno generato:
- 36.500 detriti più grandi di 10 cm,
- 1 milione fra 1 e 10 centimetri,
- 130 milioni fra 1 millimetro e 1 centimetro,
senza contare i satelliti interi inattivi. 10mila 800 tonnellate di detriti che viaggiano a velocità molto elevate (fino a 29mila km/h), in grado di produrre seri danni e collisioni a cascata – la cosiddetta “sindrome di Kessler”, con effetti anche sulle comunicazioni terrestri.
Un problema non da poco e finora irrisolto. Ma che, di recente, ha trovato una prima risposta in un’invenzione italiana inserita tra i finalisti dell’European Inventor Award (EIA). Si tratta di un dispositivo “piccolo ma potente”, denominato D-Orbiter (D3), che può essere integrato ai satelliti prima del lancio e attivato a fine operatività oppure in caso di malfunzionamenti. Dotato di sistemi di propulsione, carburante, unità di controllo a distanza e telecomunicazione, D3 è in grado di modificare l’orbita del satellite. Portandolo a bruciare in una zona sicura dell’atmosfera, per evitare sia la deriva e i conseguenti danni, sia l’aumento dei detriti nello Spazio.
Una vera svolta se consideriamo che, a oggi, parliamo di oltre 390 satelliti distribuiti nelle varie orbite terrestri (bassa, media e geostazionaria) e di circa 20mila lanci previsti nel prossimo decennio, in particolare verso la bassa orbita. Scenario rispetto al quale, dal 1° luglio di quest’anno, la European Union Agency for the Space programme (EUSPA) avrà il coordinamento in termini di sorveglianza e tracciamento spaziale (Space Surveillance and Tracking – SST), in modo da rendere lo Spazio sostenibile, sicuro e protetto. Un ruolo più attivo e funzioni allargate per la SST, che opera dal 2014 grazie a una rete di sensori di Terra messi a disposizione dai singoli Stati membri dell’Unione.
Strategia “Zero Waste”, dunque: entro il 2030, le missioni ESA saranno progettate in modo da non rilasciare più neanche un singolo detrito. Inoltre, le nuove “officine del riciclo” ad alta quota dovrebbero poter riattivare i satelliti dismessi e anche smontarli per il riuso. Senza dimenticare i materiali, laddove i detriti e i satelliti abbandonati contengono acciaio, alluminio, titanio, rame, oro e argento ma anche materiali compositi e ceramici: una “miniera volante”, recuperabile in nome sia della sostenibilità, sia della sicurezza.
Tra le prime 5 economie dell’UE, l’Italia è già leader nell’economia circolare – a cominciare dal tasso di riciclo dei rifiuti, oggi al 72%. Ora, il Made in Italy è pronto a portare la sua sensibilità e creatività tecnologica sostenibile anche nello Spazio.